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Agosto 27, 2020

Fatturazione 28 giorni: neverending story?


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La vicenda ha inizio alla fine del 2015 quando Tim, Vodafone e Wind decidono di modificare il periodo di rinnovo delle offerte ricaricabili per la telefonia mobile portandolo da cadenza mensile a 28 giorni senza prevedere una riduzione del canone periodale delle offerte oggetto della suddetta modifica. Successivamente si passa alla telefonia fissa e si adegua anche Fastweb.

Il rimborso, “dovrebbe” essere automatico, ma gli operatori frappongono indebitamente ostacoli: risultato la maggior parte degli utenti rinuncia ad agire per l’esiguità della somma (intorno a 30/40 euro, ovvero circa una mensilità di canone).

Indice dei contenuti

  1. Fatturazione 28 giorni: neverending story
  2. Fatturazione 28 giorni: come ottenere il rimborso

Fatturazione 28 giorni: neverending story

Le tariffe 28 giorni – ossia con addebito all’utente ogni quattro settimane invece che alla scadenza del mese solare – avevano caratterizzato le offerte degli operatori nel 2017, fino ad aprile 2018, fino a diventare quasi il solo tipo di fatturazione esistente in Italia. Di fatto per gli utenti significava perdere alcuni giorni di traffico, perché l’addebito scattava prima della fine del mese solare. Questo sistema comportava, in un anno, 13 addebiti del canone invece di dodici (com’era prima e com’è adesso, quando il canone scatta a ogni mese).

Tale rimodulazione è stata oggetto di una crescente attenzione da parte dei media in ragione delle proteste sollevate dalle associazioni dei consumatori che contestavano la pratica in quanto, a loro dire, finalizzata esclusivamente a mascherare un aumento dei prezzi delle tariffe telefoniche con modalità non trasparenti in violazione dei diritti dei clienti-consumatori.

Gli operatori sono stati costretti a tornare a tariffa mensile dopo che la Legge di Bilancio 2018 glielo ha imposto (precisamente l’articolo 19 quinquiesdecies del Decreto Legge 16 ottobre 2017, n. 148, convertito, con modificazioni, dalla legge 4 dicembre 2017, n. 172 – “Disposizioni urgenti in materia finanziaria e per esigenze indifferibili”).

Il primo intervento sul tema è di AGCOM nel marzo 2017 con la delibera 121 in cui viene stabilita l’obbligatorietà della fatturazione mensile per i servizi sul fisso e ibridi. La delibera dava 90 giorni per mettersi in regola, passati invano. E quindi dal 23 giugno 2017 – dal punto di vista dell’AgcomTim, Vodafone, Wind Tre e Fastweb erano de facto inadempienti.

Con 4 delibere (la 497/17 per Wind Tre, la 498/17 per Vodafone Italia, la 499/17 per Tim e la 500/17 per Fastweb) di dicembre 2017 l’AGCOM interviene poi per multare le compagnie (1,16 milioni, multa poi dimezzata) imponendo loro anche lo storno delle somme tratte dai giorni “erosi” rispetto alla fatturazione che sarebbe dovuta tornare mensile dal 23 giugno 2017 (la restituzione è diventata definitiva dopo la sentenza del Consiglio di Stato del luglio 2019).

L’Antitrust (AGCM) nella sua adunanza del 28 gennaio 2020 ha al fine condannato gli operatori telefonici Wind-Tre, Vodafone, Tim e Fastweb a pagare 228 milioni di euro per aver fatto cartello dal 2016 per due anni e aver di fatto annullato la concorrenza sul mercato addebitando le bollette ogni 28 giorni, per un totale di 13 mensilità l’anno invece che 12. Una vicenda che ha coinvolto circa 12 milioni di utenti di linea fissa.

In particolare l’AGCM ha accertato l’esistenza di “un’intesa anticoncorrenziale tra le compagnie relativa al repricing effettuato nel ritorno alla fatturazione mensile”. Le indagini svolte dall’Autorità, infatti, hanno permesso di accertare che i quattro operatori “hanno coordinato le proprie strategie commerciali relative al passaggio dalla fatturazione quadrisettimanale (28 giorni) a quella mensile, con il mantenimento dell’aumento percentuale dell’8,6%”. Tale coordinamento, sempre secondo L’Antitrust, “era sotteso a mantenere il prezzo incrementato, vanificando il confronto commerciale e la mobilità dei clienti”.

L’Antitrust aveva anche opportunamente adottato nel marzo 2018 delle misure cautelari che avevano tempestivamente impedito l’attuazione dell’intesa. Infatti, a seguito dell’adozione di tali misure, gli operatori avevano dovuto riformulare le proprie strategie commerciali e ciò aveva determinato una diminuzione dei prezzi rispetto alla rimodulazione annunciata.

I citati plurimi provvedimenti dell’Authorities hanno sancito che i mentovati operatori hanno posto in essere un’intesa segreta, unica, complessa e continuata, restrittiva della concorrenza, in violazione dell’articolo 101 del Trattato sul Funzionamento dell’Unione europea, finalizzata a mantenere il livello dei prezzi esistente e a ostacolare la mobilità delle rispettive basi clienti, impedendo il corretto svolgersi delle dinamiche concorrenziali tra operatori nei mercati dei servizi di telefonia fissa e dei servizi di telefonia mobile, oggetto delle previsioni dell’articolo 19 quinquiesdecies del Decreto Legge n. 148/2017.

In ragione della gravità e della durata dell’infrazione sono state irrogate le seguenti sanzioni amministrative pecuniarie, rispettivamente 114,398 milioni di euro per TIM, 59,970 milioni di euro per Vodafone, 38,973 milioni di euro per Wind Tre, 14,756 milioni di euro per Fastweb.

In conclusione bisogna precisare che la materia oggetto del caso di specie rientra tra quelle tutelabili mediante class action e pertanto, come sancito dalla Corte di Cassazione nell’ordinanza n. 1925/2017, pur nell’esiguità del valore, vi è il pieno interesse ad agire degli utenti, in caso contrario si finirebbe per trattare in maniera impari situazioni uguali: in pratica si arriverebbe ad escludere la tutela dell’utente per un giudizio di poco valore che invece sarebbe accolto se promosso attraverso class action. Nel caso dedotto all’attenzione della Corte un cliente aveva fatto causa a nota società di telefonia per ottenere la restituzione di 0,11 euro per l’Iva erroneamente applicata sulle spese di spedizione di una fattura.

Per giunta la class action non è obbligatoria e quindi l’utente può scegliere di agire individualmente senza doversi preoccupare di alcun limite (minimo) di valore economico della domanda, in caso contrario si avrebbe una evidente disparità di trattamento tra l’azione esercitata come singolo e quella esercitata in forma collettiva.Vai all’indice

Fatturazione 28 giorni: come ottenere il rimborso

Nonostante dapprima l’Agcom e successivamente il Consiglio di Stato abbiano sancito la natura automatica del rimborso, le compagnie telefoniche continuano a frapporre ostacoli di varia natura insistendo, fra l’altro, nel richiedere la compilazione di un modulo per la richiesta formale del rimborso relativo alla propria linea fissa o linea fissa+mobile.

Facciamo un po’ di chiarezza:

Il rimborso, di cui hanno diritto tutti gli utenti di linea fissa e linea fissa + mobile a cui è stata applicata la fatturazione a 28 giorni , deve essere automatico.

Il rimborso equivale ai giorni “erosi” all’utente nel periodo che va da giugno 2017 ad aprile 2018  quando, come detto gli operatori sono dovuti tornare per legge alla tariffa mensile. Gli importi variano a seconda dell’entità della tariffa pagata e dell’effettivo periodo in cui è stata applicata all’utente la fatturazione a 28 giorni, salvo che l’utente non abbia aderito a forme compensative che proponevano offerte e servizi in sostituzione del rimborso.

Gli utenti che nel frattempo abbiano cambiato operatore possono inviare la richiesta di rimborso al vecchio operatore, utilizzando il modulo messo a disposizione online dalla compagnia interessata.

Gli operatori, pertanto, non solo rimborsano esclusivamente gli utenti che ne facciano espressa richiesta (trattenendo così indebitamente i rimborsi per milioni di utenti), peraltro dopo tortuosa trafila, ma spesso neppure questi, accampando svariati quanto pretestuosi presunti ostacoli alla restituzione. La maggior parte degli utenti quindi, pur avendone diritto, rinuncia ad agire attesa l’esiguità della somma (intorno ai 50 euro ciascuno).

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