Le disposizioni introdotte dal cosiddetto decreto Bersani, altro non sono, che una conferma della interpretazione sulla gratuità del recesso che, come reso palese dalla lettera della norma ma soprattutto dall’intenzione del legislatore, il recesso in parola non deve comportare un costo.
La legge Bersani del 2007, nata con le migliori intenzioni, è stata però puntualmente aggirata dagli operatori telefoniche e molti utenti continuano ancora oggi a lamentare la richiesta di costi relativi alla disattivazione dei contratti.
L’espressione usata dal legislatore nell’art. 1 della legge “e senza spese non giustificate dai costi dell’operatore” è stata sistematicamente strumentalizzata dalle compagnie telefoniche che hanno in vario modo seguitato ad imporre le “vecchie penali” cambiandone solo il nome.
“Senza spese”, però non può essere interpretato nel senso di privare di contenuto precettivo la prima parte, con l’utilizzo dell’escamotage contenuto nella seconda parte: “non giustificate dai costi dell’operatore”. In tal modo si rischierebbe di addebitare spese illegittime.
Le disposizioni introdotte dal cosiddetto decreto Bersani, altro non sono, che una conferma della interpretazione sulla gratuità del recesso che, come reso palese dalla lettera della norma ma soprattutto dall’intenzione del legislatore, il recesso in parola non deve comportare un costo.
Art. 1, co. III della legge n. 40/2007, che convertiva il decreto legge n. 7-2007 (c.d. decreto Bersani): “I contratti per adesione stipulati con operatori di telefonia… devono prevedere la facoltà del contraente di recedere dal contratto e di trasferire le utenze presso altro operatore senza vincoli temporali o ritardi non giustificati e senza spese non giustificate dai costi dell’operatore”.
Art. 12, I co., delle Preleggi: “Nell’applicare la legge non si può ad essa attribuire altro senso che quello fatto palese dal significato proprio delle parole secondo la connessione di esse e dalla intenzione del legislatore”